Quest’estate sono andato a fare una “passeggiata” in montagna con mio figlio più grande (5 anni). Dopo l’iniziale esaltazione per la salita in ovovia gli è stato chiaro che quello che lo aspettava era una camminata faticosa, ma ha iniziato il sentiero lo stesso, fidandosi della proposta fatta. Dopo un po’ di strada in salita l’ho visto arrancare il passo fiaccato dal caldo e dalla fatica. Mi sono detto: “forse gli sto chiedendo troppo”. Mentre pensavo questo l’ho visto rifiorire. Aveva scorto sotto a degli alberi dei funghi velenosi che conosceva e questa cosa lo aveva entusiasmato. Da quel momento, nonostante la fatica, l’ho visto, di volta in volta, trovare mille interessi che hanno reso piacevole la camminata, sua e mia. Così:
l’ho visto fermarsi per conoscere un cane di una coppia di sconosciuti incontrati lungo il sentiero, l’ho sentito raccontare loro dei funghi che aveva scovato poco prima;
l’ho visto studiare con attenzione i macchinari che alcuni contadini usavano per raccogliere il fieno, l’ho sentito chiedere loro spiegazioni rispetto al loro lavoro;
l’ho visto guardare attentamente gli ingranaggi e i meccanismi di una seggiovia incontrata lungo il percorso, l’ho sentito chiedere notizie sul suo funzionamento;
l’ho visto affascinato dal volo del parapendio (e io, guardando mio figlio, ho provato l’emozione di vedere con i suoi occhi questi uomini volanti decollare sorretti dal vento), l’ho udito bombardarmi di domande per capire come era fatto questo strano paracadute che ti porta su.
l’ho visto fare tutto il percorso, fino in fondo e, nonostante le gambe fossero stanche, l’ho udito ridere e felice ridiscendere a valle cantando “Quante bestie ha lo zio Tobia in ovovia…”
Ma cosa è successo? Come ha fatto a resistere alla fatica? Potrei dire semplicemente che la camminata è diventata un’occasione per fare quello che più gli dà piacere, lo gratifica e lo soddisfa: esplorare, conoscere, capire, incontrare, condividere, giocare, sognare…
Un coach direbbe che mio figlio, in una situazione di stress, ha usato la sua creatività per trovare il modo di poter esprimere le sue potenzialità.
Ma cosa sono le potenzialità? Le potenzialità sono una delle espressioni più intime della nostra personalità, sono le caratteristiche specifiche del nostro modo di fare ed essere. Seligman ne ha classificato 24 e sono: curiosità, amore per il sapere, capacità critica, creatività, intelligenza sociale, lungimiranza, audacia, perseveranza, integrità, generosità, capacità di amare e di lasciarsi amare, senso civico, imparzialità, leadership, autocontrollo, prudenza, umiltà, capacità di apprezzare la bellezza e l’eccellenza, gratitudine, speranza, spiritualità, humor, entusiasmo.
Quando noi riusciamo ad esprimere le nostre potenzialità, al lavoro, a scuola, con gli amici, entriamo in un situazione di ben-essere che ci permette di affrontare anche situazioni difficili perché possiamo esprimere in pienezza noi stessi. In situazioni stressanti possiamo dare il meglio di noi se ci è concesso di esprimere quello che intimamente siamo, perché allora fare fatica ne vale la pena. Quando questo non avviene viviamo in una situazione di mal-essere perchè perdiamo motivazione, energia, desiderio. In quelle situazioni dobbiamo fare come mio figlio: attivare la nostra creatività per inventare il modo di dar parola alle nostre potenzialità.
Purtroppo, però, se non ri-conosciamo in noi le nostre potenzialità, non possiamo dar loro voce perché non ne abbiamo familiarità. Per questo, intanto, un primo passo potrà essere quello di provare a pensare:
- qual’èra il desiderio più forte che avevamo da bambini o adolescenti?
- qual è la cosa che abbiamo fatto nella vita che ci ha dato maggior soddisfazione, o che ci ha reso più felici?
- se avessimo risorse economiche e tempo illimitati quali attività ci piacerebbe svolgere?
Interessante, non trovate.
Buona ricerca e buon cammino.
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