Il desiderio di miglioramento

 

Oggi spippiolando in Facebook mi sono inserito in un dibattito. Non sto qui a dilungarmi sul contenuto, ciò che però vorrei condividere con voi sono due semplici parole  scritte da un amico a conclusione di un post. Davide scrive “tutto ciò che si fa si può anche fare meglio. Credo che questo sia (ed ecco le due paroline magiche) il desiderio di miglioramento”.

Desiderio di miglioramento… grazie Davide… due parole belle e preziose. Del desiderio ho più volte parlato, anche nel post della settimana scorsa ma è interessante il tema del miglioramento associato a questo desiderio. Cosa significa desiderare di migliorare?

Innanzitutto se accettiamo l’idea che possiamo migliorare affermiamo implicitamente che noi andiamo bene così come siamo, ma che questo non ci basta. In quest’ottica migliorare significa valorizzare l’esistente. A titolo esemplificativo proviamo a pensare quando facciamo una torta: la sforniamo, è cotta bene, il profumo è buono ma… non ci basta vogliamo che sia anche bella e così iniziamo a pensare  a come decorarla.  Come si vede da questo esempio banale il miglioramento non crea dal nulla ma sviluppa l’esistente. Va notato, però, che a differenza della torta, le persone, una volta che entrano nel circolo virtuoso del miglioramento si percepiscono costantemente come perfettibili. E quindi se oggi miglioro qualcosa di me, domani è da questa nuova realtà che parto per migliorarmi.  Attenzione, perfettibili e non costantemente sbagliati e inadeguati. Lo sguardo è rivolto alla crescita e quindi al futuro, e non ancorato al presente e quindi alla mancanza.

Io penso che sia proprio così, nell’ottica del miglioramento ci orientiamo al futuro intrepretando le nostre “mancanze” presenti come il gap che ci separa dalla realizzazione del nostro desiderio. Infatti i problemi, le difficoltà che quotidianamente incontriamo, se lette attraverso le lenti del miglioramento, si trasformano.  Di fronte ad un problema possiamo arrabbiarci, focalizzarci sulla ricerca di un colpevole, accusare qualcuno (meglio se non noi stessi) ma in tutti questi casi assumiamo un atteggiamento passivo cioè non orientato alla risoluzione del nostro problema.

Altro è se impariamo a riconoscere i semi di verità che sono contenuti nel problema e che una volta che sono stati visti e curati possono far fiorire possibili soluzioni. Ma perché una verità possa fiorire dobbiamo essere capaci di darle il diritto di cittadinanza dentro di noi, dobbiamo diventare, cioè, terreno fertile perché possa radicare. Se sono in difficoltà con il mio partner, con il lavoro o con il mio team posso impegnarmi per vivere (pur nella fatica e a volta nella sofferenza) questi eventi come occasioni di crescita e miglioramento.

Allora invece di cercare un colpevole mi domanderò che cosa è ciò che non so? Che cosa mi stanno dicendo queste persone che può essermi utile per migliorare? Non si tratta di adeguarci a ciò che gli altri dicono ma neppure di consideraci un dato statico. Ho sentito spesso dire: “ma io sono così” o ancora meglio “è il mio carattere”. Queste affermazioni non aprono alla possibilità del miglioramento perché partono dall’assunto che è il mondo fuori di noi che è sbagliato e che deve cambiare.

Ma la regola fondamentale che ogni psicologo conosce è che l’unica persona che ho il potere di cambiare sono io. Quindi volendo cambiare il mondo (pur di non cambiare io) non solo perdo un’occasione di crescita ma, di fatto, inizio una battaglia che è già persa in partenza.

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