Orientati alla speranza

Orientati alla speranza
Orientati alla speranza
 

Mi capita spesso di incontrare persone che, nonostante siano capaci di raggiungere con successo una moltitudine di obiettivi, di fatto vivono immerse in un senso di inquietudine indefinita, di incompiuto. Questo, a mio avviso, avviene perché la felicità di una persona non è determinata dalla somma dei suoi successi personali, ma da quanto questi concorrono alla continua ricerca e realizzazione di significato e senso della vita per quella persona. I nostri obiettivi, e con essi i nostri successi, se non sono inseriti in un progetto, divengono fine a sé stessi e ci espongono alla costruzione di una vita senza senso.

Il PROGETTO

Il progetto, nel senso esistenzialista del termine, è il progettar-si, cioè il proiettar-si nel non ancora. Per questo esso è inscindibilmente legato al desiderio, alla speranza e con esse alla necessità di costruirsi una visione del futuro, un’immagine dell’avvenire possibile. Il progetto è in estrema sintesi  lo sguardo rivolto a ciò che ha ad-venire (all’avvenire) e per questo ci riporta ad una continua tensione alla ricerca di senso. La dimensione di senso, però, si definisce a mano a mano che la persona cammina, non è data una volta per tutte, ma si inserisce all’interno di un perpetuo percorso di disvelamento. Immaginiamo che il percorso della nostra vita sia come la scala di un palazzo altissimo. Noi, percorrendola, gradino dopo gradino cresciamo. Di fatto, a ben guardare, questo progredire è un continuo ritornare ciclicamente sui propri passi, sulla propria storia (si immagini l’andamento di una scala a chiocciola), ma ogni volta ad un piano più alto. Per sapere, però, dove esattamente ci troviamo dobbiamo, arrivati ad un piano, affacciarci alla finestra. Nel fare questo, oltre a collocarci, avremmo, piano dopo piano, l’opportunità di ampliare i nostri orizzonti e di fare considerazioni più raffinate e complete rispetto alla realtà che ci circonda. Se al primo piano vediamo delle case, al secondo, cambiando prospettiva, possiamo vedere le strade che collegano quelle abitazioni, e al terzo potremmo  avere una visone d’insieme del paese.

Per questo motivo, ogni volta che raggiungiamo dei risultati dobbiamo utilizzarli da feed-back per comprendere dove siamo rispetto il nostro progetto personale, per espanderlo o perfezionarlo in virtù delle nuove conoscenze che abbiamo acquisito. Ogni volta che raggiungiamo degli obiettivi ci dobbiamo affacciare alla finestra del piano a cui corrispondono e, guardandoli, lasciarci interpellare da loro. Se non lo facciamo il nostro camminare diviene fine a sé stesso, perde di senso. Lasciarci interpellare dai nostri risultati significa porsi delle domande. Se non so fare domande non procedo o procedo senza senso.[1] Questo avviene perché ogni meta che raggiungiamo ci dis-vela (cioè toglie il velo) aspetti della realtà, nostra e del mondo che ci circonda, che prima non potevamo comprendere.

Per questo “il senso non può essere dato, né imposto dall’esterno, ma va scovato, inventato, trovato, creato e costruito dalla persona” [2] .

 

PRO-IETTARSI NELLA SPERANZA

Il nichilismo è l’assenza di progetto, di sogno, di speranza, è cioè, per continuare con l’immagine della scala nel palazzo, un camminare piano dopo piano senza guardare fuori (e dentro) alla nostra vita, è una vita senza motivo. Ma vi è un altro nemico del sogno, del desiderio: il destino. Il destino, la storia già scritta, predeterminata, è l’antitesi del progetto personale. Nel destino la motivazione è completamente estrinseca, collocata fuori di sé (si fa per adempiere a delle attese, a ciò che sta scritto). Quando si guarda fuori dalla finestra del palazzo della nostra vita, osservando la realtà con gli occhiali deformanti del destino, vediamo solo ciò che ci aspettavamo di vedere. Perdiamo la dimensione dello stupore, che è il cuore pulsante del progetto personale.

Al contrario, nel progetto personale, la motivazione è pienamente intrinseca (si fa perché è conforme al bene che sento dentro di me) [3]. Il mio percorso di crescita, allora, è un continuo confronto tra i gradini che ho già salito (la mia storia), l’altezza a cui mi trovo, che deduco affacciandomi alla finestra e confrontandomi con la realtà (il mio presente), e lo stupore che vivo per quello che vedo e comprendo confrontandolo con  la mia storia e il mio presente. Questo stupore genera il profondo desiderio di sapere, vedere di più, di proseguire la salita, apre alla possibilità del futuro (la speranza).

Ogni volta che raggiungiamo un nuovo piano del palazzo della nostra vita (una nuova meta), la speranza che ci ha sostenuti, scalino dopo scalino, lascia il posto alla conoscenza per proiettarsi verso un nuovo sogno, verso il piano successivo. Questo deve avvenire perché, la speranza  non si raggiunge, né tanto meno si possiede, la speranza si trova. L’uomo, scrive Vito Mancuso nel suo libro La vita autentica, compie la sua vita quando vive per una speranza più grande di lui, in base alla quale egli, a poco a poco, giunge a dar forma a tutto quello che fa e che dice.  Per questo possiamo affermare, senza ombra di dubbio, che la persona è la sua speranza, cioè la tensione complessiva della sua vita, e il sapore di fondo che ne deriva all’intera personalità. Questo è ciò che fa di un uomo un essere unico e irripetibile, la sua speranza. [4]

È infine interessante notare che il contrario di sperare è dis-sperare. Quando si perde la speranza, pertanto, ci si dispera, perché si perde la possibilità del futuro e con esso il senso del nostro esistere e del nostro agire. Senza speranza, senza progetto, si diviene contenitore vuoto, enorme palazzo senza piani, stanze e finestre.

 


[1]              Gadamer H.G, Verità e metodo, traduzione it. Di G. Vattimo, Bompiani, Milano 1986,

[2]              Ultimate Coaching, manuale teorico operativo, 64

[3]              Cfr. Bonanomi Roberto, La mela che non mangio, I meccanismi con cui l’inconscio guasta i nostri progetti, Milano, Scuola di Palo Alto, 2011, 64

[4]              Cfr. Mancuso Vito, La vita autentica, Milano, Raffaelo Cortina, 2009, 127-137

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